Archivio Ettore Maestro: la testimonianza di Rosaria Poi

  • Posted on: 11 December 2022
  • By: pietro.delsante

Carissimi, l'Archivio Ettore Maestro sta pian piano prendendo forma: in questi mesi abbiamo infatti ricevuto testimonianze interessantissime sotto varie forme: dopo la bellissima lettera di Ettore al suo alunno Enrico, alcuni amici ci hanno messo a disposizione decine di ritagli di giornale che parlano del lavoro di Ettore come insegnante; altri ci hanno permesso di digitalizzare le loro copie dei giornalini scolastici prodotti assieme ad Ettore, mentre qualcuno, come la nostra amica Rosaria Poi, ha scelto di affidare ad un racconto i propri ricordi di Ettore. Ci fa molto piacere, quindi, condividere con voi il testo di Rosaria, che ricorda la sua esperienza nelle colonie estive di Tarsogno, gettando nuova luce su un aspetto della vita di Ettore che si accenna spesso, ma che si è sempre approfondito troppo poco. Si tratta di un racconto fresco e vivo, da cui emerge molto chiaramente lo stile di insegnamento di Ettore, che ha evidentemente lasciato il segno: non è un caso, infatti, se anche Rosaria ha poi scelto di intraprendere la via dell'insegnamento. Ed ecco a voi il testo!

Maestro Ettore Guatelli – Direttore della Colonia estiva di Tarsogno
Ricordo di Rosaria Poi
 
Il ricordo che ho del Maestro Ettore Guatelli risale agli anni dopo il 1968. Quella estate, nel mese di agosto i miei genitori, visto che erano nate da poco le mie sorelle gemelle e mio nonno era gravemente ammalato, mi mandarono in Colonia a Tarsogno. Il Direttore della Colonia estiva montana era il Maestro Ettore Guatelli.
La Colonia era ubicata in un palazzo bianco al centro  del paese e aveva un grande cortile recintato. I bambini della Colonia avevano dai sei agli undici-dodici anni ed erano organizzati in Squadre maschili o femminili, coordinate da Educatrici, che erano giovani Maestre della città. Non ricordo con esattezza il numero dei bambini, ma sicuramente eravamo alcune centinaia. 
Alla domenica o nelle occasioni ufficiali (messe, accoglienza di autorità, ecc.) vestivamo una divisa formata da un maglioncino blu con stemma e un cappello blu.
Le routines giornaliere prevedevano la colazione, rigorosamente con latte, caffè d’orzo e pane (che io detestavo), subito dopo l’uscita a piedi nei boschi di castagno intorno a Tarsogno o una vista ad una casa di campagna o fattoria. Verso il mezzogiorno si tornava per il pranzo e dopo si andava in cortile a giocare, verso le due si andava a letto per il riposo quotidiano. Alle tre ci si svegliava e si faceva merenda, di solito con pane, burro e marmellata e si beveva il tè.
Alle tre e mezzo si usciva di nuovo e si andava in un grande bosco di castagni a giocare liberamente, fino alle sette ora di cena.
Dopocena si poteva uscire ancora nel cortile, ma talvolta il Direttore Guatelli ci faceva vedere nel Refettorio dei filmati, dei documentari o dei film per bambini e poi ci faceva ragionare su cosa avevamo visto (una specie di Cineforum). 
La domenica era un giorno speciale perché arrivavano le famiglie e si poteva uscire dalla Colonia fino a sera, se non venivano i genitori ci si preparava per la messa, in divisa, e al ritorno c’era il pranzo della domenica con torelli o lasagne. Al pomeriggio dopo il riposo si giocava liberamente in cortile fino a sera.
 
Ricordo con ammirazione i metodi educativi del Maestro Ettore Guatelli, che a quel tempo mi sembravano molto strani e non sempre giusti ( le punizioni dovevano darle i Maestri non chiederle ai ragazzi…).  
La sua azione educativa era improntata a costruire una comunità dove tutti si dovevano rispettare e a far “pensare” e “riflettere” i ragazzi sulle loro azioni. Quando due bambini/e litigavano il Maestro Ettore li chiamava al centro del Refettorio e ascoltava le due versioni dei fatti e poi chiedeva a ciascuno di loro dove avevano sbagliato e, cosa che mi lasciava a bocca aperta, quale punizione pensavano di meritare…
Il fatto strano era che tutti, magari dopo una prima fase di negazione, ammettevano i loro torti e si assegnavano delle punizioni più drastiche rispetto a quello che assegnava poi il Maestro.
 
Quando un bambino/a di una squadra non mangiava il cibo, il Mestro Ettore veniva ad assaggiare il piatto e se era “buono” tutta la Squadra si alzava in piedi e non toccava cibo per almeno mezz’ora. Quando ci si poteva sedere di nuovo tutti, ma proprio tutti mangiavano il pasto senza fiatare. Non bisognava sprecare il cibo buono perché altri bambini meno fortunati di noi non ne avevano. A me non piaceva il caffelatte con il pane, ma non dicevo niente e mangiavo tutto per timore di far stare in piedi tutta la Squadra.
 
Il Direttore veniva sempre in uscita quando andavamo a visitare case coloniche o fattorie e di solito chiamava il contadino e lo “intervistava” sull’uso di attrezzi agricoli che trovava e che ci mostrava. Il Maestro Ettore spiegava a noi bambini perché era importante quell’oggetto, a cosa serviva e in genere spigava perché era importate il lavoro dei contadini, soprattutto in montagna.
I bambini della Colonia erano figli di operari e di impiegati della città e qualcuno, come me, di famiglie di origine contadina. Io conoscevo molti degli oggetti della vita di campagna e di montagna che ci venivano mostrati, i loro nomi in dialetto e il loro uso, perché la mia famiglia viveva in campagna e i miei nonni erano contadini. La famiglia  di mia nonna paterna, Ernestina, viveva  in montagna ad Ostia Parmense, vicino a Borgotaro e spesso andavamo a trovarli. Fin da piccola avevo iniziato a caprie il loro dialetto, che aveva molte parole che finivano in ”u”, a differenza di quello che parlavo a Varano Marchesi che aveva molte “a” e molte “o”.
Mi piaceva molto ascoltare il Direttore Ettore quando spiegava gli attrezzi agricoli e il loro uso, perché ritrovavo il mondo in cui vivevo quotidianamente nelle tradizioni, negli usi, negli oggetti, nei termini dialettali, negli odori e nei profumi. Era un mondo bandito dalla scuola ufficiale, dove mi avevano insegnato a non parlare in dialetto e quindi dove non entrava la vita quotidiana della mia famiglia. Quando il Maestro Ettore parlava del mondo della campagna e  della montagna per me era come se fossi al centro del mondo e capivo che anche la vita della mia famiglia era importante, come quella delle famiglie degli operai o degli impiegati che lavoravano nelle grandi fabbriche della città.
I bambini della città non conoscevano la vita della campagna o di montagna e trovavano tutto nuovo e strano, ma erano curiosi  e piaceva anche a loro sapere tante cose sulla vita quotidiana a Tarsogno. Qualche volta noi bambini nelle uscite pomeridiane scoprivamo nuovi attrezzi di legno e li portavamo al Maestro Guatelli, che era molto felice.
Si sapeva che il Maestro Ettore collezionava e studiava quegli attrezzi agricoli e che aveva pubblicato dei libri, per cui era una persona importante.
 
Spesso alla sera, dopocena, ci riuniva nel refettorio e ci raccontava storie o leggende della montagna, che aveva sentito da anziani e tutti i bambini lo ascoltavano a bocca aperta perché era un bravo narratore e faceva vivere le emozioni di queste storie.
A volte ci parlava di un Maestro, che si chiamava Leone Tolstoj, e in Russia aveva formato una scuola per i bambini dei contadini. Questa scuola si chiamava “Jasnaja Poljana” e il Maestro Ettore ci faceva vedere dei brevi filmati di questa scuola in bianco e nero.
La scuola di Tolstoj per il Maestro Ettore era importante e ce ne parlava spesso, qualche volta ci leggeva dei brani di scritti di Tolstoj, che ci diceva essere un grande scrittore che avremmo dovuto leggere da grandi.
 
Ripensando a quelle quattro estati a Tarsogno, che vissi dal 1968 al 1972, ricordo molti momenti spensierati, lunghissime camminate nei boschi, visite a cascate, giochi di bande nei boschi di castagno, gite verso il Passo Cento Croci. Insomma delle bellissime estati.
Nel contempo credo, però, di aver fatto un percorso importante rispetto alla mia identità personale, grazie al Maestro Guatelli che mi fece scoprire l’importanza del mondo contadino in cui ero cresciuta. Fino a qual momento credevo di essere fuori dalla “storia” perché ero convinta che dove vivevo io non succedeva mai niente di importante, come invece accadeva in città. Da qual momento capii che anche nel mio mondo accadevano fatti importanti degni di essere vissuti e raccontati (… se lo faceva il Maestro Ettore).
 
Un altro aspetto fondamentale di quelle estati fu che modificai il mio ideale di “educazione”, che avevo maturato alla  scuola elementare, capii che fare l’insegnante era un mestiere complesso che richiedeva molta cultura e molto studio, ma che era importante. Forse il desiderio di fare l’insegnante nacque proprio da quella esperienza e dall’idea della scuola di Tolstoj che il Maestro Ettore ci diceva essere molto “rivoluzionaria” e “giusta”.